News of Friends -
Union Presse Francophone Section Italienne
Giornata europea dei “Giusti nel mondo” per la prevenzione di tutti i genocidi
Il 6 marzo verrà celebrata la giornata europea dei Giusti votata dal parlamento europeo nel 2012 e dal parlamento italiano all’unanimità nel 2107.
Quest’anno la giornata ha particolare rilievo in un periodo molto incerto per il futuro dell’umanità con il protrarsi dell’invasione dell’Ucraina, con le minacce nucleari dell’Iran, con la guerra in Karabakh che mette a rischio la sovranità dell’Armenia e con la pesante repressione delle donne in Iran e in Afghanistan.
Mai come in questo momento storico la democrazia nel mondo è minacciata e si addensano nubi pericolose che minacciano la pace nel mondo ed è quindi importante la voce dei giornalisti poiché dove si affermano le autocrazie e le nuove dittature la prima misura è quella di mettere a tacere la libertà di stampa e di pensiero.
La nostra associazione aderisce quindi pienamente alle celebrazioni della giornata dei Giusti dell'umanità e chiede a tutti i nostri soci di fare conoscere sulle loro testate l'importanza di questa giornata nel momento pericoloso che tutti noi stiamo vivendo.
Nel corso della Giornata dei Giusti, animata da Gabriele Nissim presidente di Gariwo e vice-presidente della nostra associazione, si terranno nei 200 giardini e nelle scuole, nei comuni in Italia e in Europa importanti iniziative per celebrare questa ricorrenza. In particolare a Milano il 3 marzo al Giardino dei Giusti di tutto il mondo e il 9 maggio a Roma al Senato della Repubblica.
Maggiori informazioni sulla Giornata dei Giusti 2023 e sugli eventi e iniziative collegate, sono disponibili su https://it.gariwo.net/giornata-dei-giusti/
Lettera ai membri dell'UPF-Italia
Cari amici,
Solo due parole per fare il punto sull’associazione UPF-Italia.
Il convegno europeo di Bari sull’informazione (28-30 settembre) ha segnato l’inizio delle nostre attività e siamo felici di dire che è stato un grande successo (come sostengono all’unisono i colleghi presenti e quelli che si sono collegati via internet).
Il primo novembre cominceremo a raccogliere i formulari per il tesseramento 2023. Chi invierà la documentazione e la quota associativa (50 euro) entro la fine di novembre riceverà (dovrebbe ricevere) la tessera stampa entro la metà di dicembre.
Chi è già membro dell’UPF è pregato di farci pervenire:
a) quota associativa
b) dichiarazione sull’onore che continua a svolgere attività nel settore editoriale-informativo, con qualche dettaglio a proposito di queste stesse attività (per esempio indicazioni sui siti internet e relativi link).
c) Indicazione precisa delle coordinate del contatto personale: precisate il numero di telefono, la mail e l’indirizzo postale a cui volete ricevere la tessera (fatelo anche se questi dati non sono cambiati rispetto all’anno in corso).
Chi si candida per la prima volta all’iscrizione troverà sul tab "Iscrizione" del nostro sito tutte le informazioni necessarie e in particolare il formulario. Vi ricordiamo che, per entrare nell’UPF, sarà necessario fornire un’adeguata documentazione delle attività svolte nel settore editoriale-informativo e che il bureau dell’UPF-Italia si riserva il diritto di accettare o declinare le richieste d’iscrizione o di reinscrizione.
Vi informiamo infine che nel primo semestre del 2023 si svolgerà l’Assemblea generale dell’UPF-Italia. Le informazioni al riguardo verranno pubblicate sul nostro sito con almeno due settimane d’anticipo.
Nel ringraziare voi tutti per la vostra presenza nell’UPF, vi salutiamo con amicizia e con i nostri auguri di buon lavoro
Alberto Toscano, presidente
Maddalena Tulanti, segretaria generale
Consacrata a Bari la Sezione Italiana dell’UPF
Tre giorni a Bari per la Conferenza europea della stampa francofona organizzata dalla Sezione Italiana dell’UPF, con il sostegno della sezione della Valle d’Aosta e della Sezione Internazionale, che ha preso fine venerdì 30 settembre nella sede dell’Alliance Française, dopo due giornate di incontri e lavori, ospiti del Consiglio regionale della regione Puglia
Dopo un’ultima animatissima tavola rotonda di venerdì, le conclusioni del congresso sono state tratte da Alberto Toscano, presidente della Sezione Italiana, da Maddalena Tulanti segretaria della sezione e organizzatrice di questo evento, da Joseph Péaquin presidente della Sezione Valle d’Aosta e da Zara Nazarian segretaria generale della Sezione Internazionale.
Un successo indiscusso per la neonata UPF-Italia per la qualità degli interventi, l’organizzazione e lo spirito di collaborazione e comunione che ha unito tutti gli intervenuti.
Il Convegno è stato anche l’occasione di un “battesimo” ufficiale della Sezione Italia dell’UPF, con finalmente la possibilità di un incontro in presenza dei soci dopo mesi di contatti virtuali via zoom.
Il resoconto del convegno, preparato da Catia Ronzoni, è disponibile nella sezione Attività
CONFERENZA EUROPEA DELLA STAMPA FRANCOFONA
BARI 28-29-30 Settembre 2022
Le sfide dell’informazione nell’Europa di oggi e di domani e loro ricadute sul mercato locale» è il tema della tre giorni, organizzata a Bari dalla Sezione Italia dell’Unione internazionale della stampa francofona (UPF) in occasione della propria costituzione nel nostro Paese, in collaborazione con l’Ordine dei giornalisti della Puglia.
Queste sfide - al tempo stesso professionali, economiche e tecnologiche – si materializzano oggi in un’Europa sconvolta da gravi problemi strategici, politici, finanziari, sociali e soprattutto morali. Un’Europa che s’interroga oggi sul modo in cui essere fedele ai propri valori fondamentali.
Senza tralasciare la riflessione sulle sfide che le minoranze linguistiche, ricchezze di ogni territorio e sostenute da programmi di tutela dall’Europa, devono affrontare di fronte alla comunicazione globalizzata che tende a soffocarne le specificità.
Il Convegno europeo di Bari – organizzato dall’UPF Italia con il sostegno dell’UPF Internazionale e della Sezione Valle d’Aosta dell’UPF – è l’occasione per «incrociare» i grandi temi dell’attualità europea con le riflessioni presenti oggi nel mondo dell’informazione e della comunicazione più in generale. Saranno presenti al confronto direttori e professionisti di testate giornalistiche della tv e della carta stampata internazionali, nazionali e locali.
Gli organizzatori ringraziano per il contributo di idee e organizzativo il Corecom Puglia, gli Editori Laterza, il gruppo Casillo, i l’agenzia di comunicazione Proforma e la Sedit-servizi editoriali.
Un particolare ringraziamento va anche al Consiglio regionale pugliese, alla Fondazione Petruzzelli e all’associazione internazionale “Alliance Française” per aver voluto ospitare l’iniziativa.
Per i partecipanti sono previsti crediti formativi dell’Ordine dei giornalisti.
Il programma dettagliato di questa iniziativa è contenuto nella sezione Attività
Se interessati a partecipare potete contattarci su “contattaci” per ulteriori informazioni
La sezione italiana di UPF sostiene GARIWO
e il suo presidente (nonché socio fondatore di UPF-ITA)
nella manifestazione di Marsiglia
Tre alberi di agrumi: un cedro un limone e un arancio simbolicamente piantati in memoria dei primi tre “Giusti” celebrati a Marsiglia
Ieri sera a Marsiglia al Centro Edmond Fleg, le comunità ebraiche, armene e ruandesi si sono riunite per l’inaugurazione virtuale del primo Giardino dei Giusti di tutto il Mondo che troverà radici in Francia.
Alla presenza di Gabriele Nissim, presidente e co-fondatore di GARIWO (la Foresta dei Giusti di tutto il mondo) creata per ricordare coloro che hanno difeso la dignità umana contro ogni sorta di genocidio sono stati simbolicamente piantati i primi tre alberi in onore e ricordo del giornalista americano Varian Fry che aveva salvato numerosi ebrei durante la Shoah, del vice ammiraglio francese Louis Dartige du Fournet, che aveva portato in salvo gli armeni del Mussa Dagh durante il genocidio e della suora cattolica ruandese Felicité Niyigeta detta “IKIMANIKA”che aveva operato per salvare tutsi durante il genocidio.
Gariwo (Gardens of the Righteous Worldwide) fondazione culturale basata a Milano sotto il cui impulso più di cento Giardini dei Giusti sono stati aperti in Italia e nel mondo, è nata dall’incontro di Gabriele Nissim con Pietro Kuciukian, Ulianova Radice et Anna Maria Samuelli, che ne sono stati i fondatori.
I Giardini dei Giusti sono il simbolo vivente delle attività culturali ed educative di GARIWO.
Dal 1999 GARIWO agisce per far conoscere i Giusti e promuovere la “Memoria del bene” considerata un potente strumento educativo per prevenire genocidi e crimini contro l’umanità. La memoria diventa dunque una forma di educazione, legata ad una presa di coscienza che porta in primo piano la responsabilità individuale.
I Giusti non sono né santi, né eroi, ma individui che in piena coscienza hanno deciso di combattere il male, non accettare ordini cui erano contrari o semplicemente disobbedire per salvare vite umane.
Personaggi del passato, del presente che rappresentano “la Speranza dell’Umanità”.
L’incontro “casuale”nel febbraio 2018 a Marsiglia in occasione di una conferenza tra Gabriele Nissim e Evelyne Sitruk, presidente del centro Edmond Fleg è stata la scintilla che ha portato alla nascita di questo primo giardino dei Giusti sul suolo francese.
Evelyne Sitruk ha operato perché appunto a Marsiglia potesse vedere la luce questo giardino, le cui prime tre simboliche piante sono in attesa che il Comune della città offra uno spazio verde da dedicare a questa iniziativa.
Una serata all’insegna della collaborazione multietnica allietata da una rappresentazione musicale che ne traduceva in pieno lo spirito.
Cari amici, il più anziano membro della nostra Associazione ci ha lasciati stamane. Luciano Ceschia che era nato a Trieste il 13 dicembre 1934, è stato un grande giornalista, a lungo presidente della Federazione nazionale della stampa (FNSI) e la sua presenza nell’UPFI resterà per sempre come testimonianza della serietà professionale della nostra Associazione.
Gabriele Nissim, scrittore, giornalista, presidente e co-fondatore di GARIWO (la Foresta dei Giusti di tutto il mondo) creata per ricordare coloro che hanno difeso la dignità umana contro ogni sorta di genocidio, è l’autore del recente libro “Aushwitz non finisce mai” edito da Rizzoli.
Il saggio è disponibile in libreria dall’inizio di marzo, a ridosso del decimo anniversario della Giornata europea dei Giusti (riconosciuta dal Parlamento Europeo il 10 maggio del 2012 e celebrata ogni 6 marzo), accompagnato da un imprevedibile vento di guerra che rende le sue tematiche ancor più attuali di quanto l’autore stesso avrebbe potuto forse immaginare.
Sottotitolo del libro “La memoria della Shoah e i nuovi genocidi”; tratta infatti della Shoah dal suo difficile riconoscimento fino al concetto di “genocidio”, coniato dal polacco Raphael Lemkin, un termine che la ingloba senza togliere nulla alla sua specificità.
Nissim attraverso i pensieri, gli interrogativi di personaggi come Simone Veil, Primo Levi, Yehuda Bauer , Avraham Burg, Spinoza e Raphael Lemkin ci porta a riconoscere il valore universale della Shoah.
La sua singolarità, e -non unicità- fa sì che la Shoah, un “genocidio senza precedenti” come la definisce lo studioso Bauer possa diventare chiave di lettura e monito per evitarne di nuovi, una lente di ingrandimento per metterne a fuoco l’orrore, riconoscerlo e cercare di combatterlo.
“Unicità significa che la Shoah non si potrà mai più ripetere……, e per questo Bauer osserva ironicamente che possiamo quindi stare tranquilli per il futuro e anche dimenticarcene, perché non ci riguarderà più.
Lo studioso israeliano preferisce utilizzare l’espressione “genocidio senza precedenti”, che mette in evidenza come contro gli ebrei ne sia attuato uno con caratteristiche di nuovo tipo.
Compito degli Stati e degli uomini contemporanei fare l’analisi di somiglianze e differenze con le atrocità del passato per “impedire che l’Olocausto da “non precedente” si trasformi in un precedente di una catena che continua”.
Non si può fare una gerarchia del dolore, una graduatoria dei genocidi.
Il loro comune denominatore è “l’intenzionalità di annientare un gruppo usando ogni forma di violenza e di brutalità che disumanizza gli individui destinati allo sterminio. È questa la continuità. Ciò che invece rappresenta un non precedente nella storia dei genocidi è che la Shoah è stato un genocidio con caratteristiche “universali”, perché i nazisti non si proponevano di eliminare gli ebrei all’interno di un territorio, come per esempio è avvenuto per gli armeni, ma di procedere nella soluzione finale in ogni parte del mondo.
Se Bauer e con lui l’israeliano Avraham Burg colpiscono per il loro modo di mettere in discussione l’unicità della Shoah e il paragone con gli altri genocidi, è il giurista polacco Lemkim che risalta nel saggio di Nissim per il suo ruolo fondamentale e l’opera svolta.
Una parte importante del libro gli è infatti riservata: a lui, alla sua storia, al suo percorso alla sua ostinazione senza fine per riuscire a fare approvare dalle Nazioni Unite nel 1948 la prima legge internazionale contro i genocidi, resi possibili come analizza il giurista polacco anche grazie all’indifferenza: “Non era colpevole solo chi li stava compiendo, ma seppure con una responsabilità diversa, anche chi avallava la cospirazione del silenzio.”
E lo scopo di Lemkim al di là della punizione dei colpevoli è la prevenzione di questi crimini per il futuro dell’umanità… “Non c’è genocidio che non si ripercuota su tutta l’umanità”.
Agire dunque non perché spinti solo da “ragione di umana compassione”, ma per un mondo comune da preservare.
Nelle sue memorie scrive che “un intellettuale non deve avere solo buone idee, ma deve accompagnarle nella vita per realizzarle”, proprio quello che lui farà senza appunto mai demordere, e la storia delle sue tante battaglie dalle pagine di Nissim risulta quanto mai avvincente.
La memoria della Shoah prende un nuovo cammino; piuttosto che rimanere ancorati al passato, serve impegnarsi alla costruzione di un futuro migliore.
E il “mai più” di Lemkim mira appunto alla costruzione di una nuova società in grado di mettere al bando ogni sorta di genocidio.
Come nota l’autore, l’opera di Lemkim, al pari di quella di Socrate, stimola la nascita di una nuova coscienza con il suo continuo “questionnement”. Che non risparmia nessuno, lettore incluso.
Un lettore che non potrà esimersi dal porsi a sua volta non una ma tante domande e dal rimettersi in discussione
Gabriele Nissim dipana il suo “racconto”, inframezzandolo con ricordi e riflessioni personali che lo rendono ancora più vivo.
Un libro per capire meglio il passato, il presente e chiedersi una volta di più come affrontare il futuro.
Rebecca Ricci Bossi
L’Appunto di Alberto Toscano – febbraio 2022
In attesa del Festival di Sanremo, il popolo della Felice Penisola si è concentrato per una settimana sulle trasmissioni dall’anfiteatro di Montecitorio. Anche lì si votava, con la differenza che i titoli delle principali canzoni in lizza erano veramente pochi. In particolare « Bianca, Bianca, Bianca » (pare che a un certo punto la Berlinguer si sia montata la testa) e « Casellati, Casellati, Casellati » (ma, in questo coro, i giornalisti musicali hanno notato qualche stonatura). Alla fine tutti gli italiani hanno applaudito e fischiettato il popolarissimo motivetto « Mattarella, Mattarella, Mattarella », che ha trionfato al Festival di Roma.
Bentornato, Presidente ! Sei stato via una settimana e già si sentiva la tua mancanza. Te n’eri appena andato con i tuoi scatoloni e già stava succedendo un pasticcio. Adesso sbrigati a dare a tutti il segnale della fine della ricreazione. Altrimenti – come ai tempi di Romolo e Remo, dei Guelfi e dei Ghibellini, dei Montecchi e dei Capuleti, di Bartali e Coppi – il popolo della Felice Penisola ricomincerà a scannarsi tra fazioni e sottofazioni. Il tuo merito principale, caro Presidente, è quello di esistere come simbolo di persone che adorano dividersi. Per noi italiani questa è una cosa fondamentale. Tu parli poco, ma non lo fai mai a caso. Anche per questo, noi popolo di chiacchieroni ti vogliamo bene. Volevi andartene e invece ti hanno costretto a tornare. Hai fatto un trasloco e subito dopo devi farne un altro in senso opposto. Qualcuno dice che ti dimetterai tra uno o due anni, ma penso si sbagli. Sono convinto che – se continuerai a godere di buona salute, come tutti ti auguriamo – porterai a termine il tuo secondo mandato e starai per altri sette anni nel palazzo che fu abitato dai papi e dai re. Te ne andrai nel 2029, quando avrai 88 anni e gli italiani continueranno a litigare tra loro. Ma prima o poi il popolo della Felice Penisola dovrà imparare a cavarsela senza il tuo aiuto.
Sergio Mattarella è tornato al Quirinale e di questo tutti o quasi si rallegrano. È tornato al Quirinale, ma sulla sua rielezione pesa un elemento preoccupante : quella scelta opportuna, corale e certamente utile all’Italia è stata compiuta solo perché non si sapeva cos’altro fare. È stata compiuta perché la politica stava sprofondando nelle sabbie mobili della propria rissosa impotenza.
Foto AgenziaDire
Sto scrivendo queste righe con la tv accesa e Sergio Mattarella, il presidente vecchio-nuovo, che – fatto il giuramento – sta parlando alle Camere riunite (qui YouTube del discorso di Mattarella il 3 febbraio a Montecitorio). È un vero discorso programmatico per un vero mandato che – ne ero convito poco fa e me ne convinco ancor di più col passare dei minuti – ha evidentemente l’intenzione di portare a termine.
Altra sensazione molto chiara : Mattarella vuole pesare nella politica italiana proprio come ha fatto nel suo altro settennato e come fece in precedenza Giorgio Napolitano.Nei pochi (davvero pochi) commenti dei media francesi a queste presidenziali sono rimbalzate considerazioni riassunte dalla frase « In Italia il capo dello Stato ha funzioni protocollari ». Come se non contasse nulla. Certo che ha anche funzioni protocollari, ma quell’affermazione è inesatta e fuorviante.
Benché il presidente della Repubblica italiana non sia eletto a suffragio universale diretto, il suo peso politico è fondamentale nel garantire – anche nella vita quotidiana – il rispetto della Costituzione. Non sono parole « protocollari ». Per capirlo basta ripensare alla collera con cui alcuni critici di Napolitano e di Mattarella si sono scagliati anni fa contro il Quirinale. Il governo Monti scaturì dall’iniziativa di Napolitano. Quello Draghi è figlio di Mattarella. Il peso reale dei presidenti della Repubblica italiana si vede proprio nei momenti critici, che negli ultimi decenni certo non sono mancati. Se tutto va bene, il Quirinale è un palazzo su un colle di Roma. Ma se tira aria di bufera il suo ruolo può essere importantissimo. Mattarella è riuscito a mostrare fermezza quando riteneva fosse necessario, cercando però il dialogo e l’intesa. Persino chi era arrivato a chiedere il suo impeachment si è spellato le mani nell’applaudire il suo discorso del 3 febbraio pomeriggio a Montecitorio.
Intervistata da Radio Rai, una corrispondente tedesca a Roma si dice allibita perché la politica italiana ha perso una settimana nelle elezioni presidenziali mentre sul terreno ci sono tanti problemi da risolvere. A parte il fatto che la politica tedesca ha impiegato mesi a negoziare per la maggioranza di governo, il punto non sta in quella settimana « persa », ma nei rischi che – a causa delle incertezze, delle fibrillazioni e delle furbizie dei partiti – l’Italia ha corso in quei giorni cruciali, tra lunedì 24 gennaio (inizio delle votazioni) e sabato 29 (elezione di Mattarella con 759 voti su 1009 aventi diritto al voto). Tutti i partiti hanno qualche responsabilità, ma non tutti hanno lo stesso grado di responsabilità in un gioco che ha fatto correre al Paese un reale pericolo di destabilizzazione. Ciascuno di noi ha le proprie opinioni sul comportamento degli uni e degli altri. Questa diversità di giudizio è sacrosanta, ma è chiaro che l’Italia si è trovata sull’orlo di una crisi molto seria perché le sue rappresentanze politiche hanno mancato di lungimiranza. Siccome tutto è bene quel che finisce bene, adesso gli italiani sono contenti e gli europei pure. L’eventuale destabilizzazione della politica italiana avrebbe avuto pesanti conseguenze nell’UE nel periodo delicatissimo in cui sono in gioco sia l’applicazione del piano di rilancio comunitario (con finanziamenti subordinati al rispetto degli impegni assunti da ciascuno Stato membro) sia la definizione delle nuove norme comunitarie rispetto a deficit di bilancio e debito pubblico.
Proprio trent’anni fa, nel febbbraio 1992, i rappresentanti dei governi europei firmarono il protocollo ufficiale del Trattato di Maastricht in questa città olandese in cui due mesi prima i leaders avevano raggiunto l’accordo per nascita della moneta unica. Furono stabiliti cinque criteri, di cui i più noti e importanti sono il tetto del 3 per cento del PIL per il deficit della finanza pubblica e il 60 per cento del PIL per il debito. Oggi è ben difficile rispettare quei parametri. È anche difficile attenersi alla nuova versione di quella scelta, scaturita nel 1997 col « Patto di stabilità e di crescita », sospeso con l’arrivo della tempesta Covid. Ma la tempesta passerà e bisogna capire cosa ci sarà dopo. Il ritorno puro e semplice al «Patto», che ha garantito poca stabilità e soprattutto poca crescita comune, è improbabile e forse impossibile. Qui si nascondono i veri punti deboli nella storia dell’euro, che è nel suo insieme un grande successo. Dietro le richieste di alcuni di legare gli altri a rigide politiche di bilancio, c’è un problema di fiducia reciproca ancora da costruire. Piaccia o non piaccia, dopo la tempesta Covid alcune regole chiare andranno adottate. Piaccia o non piaccia, quelle regole non potranno essere identiche a quelle di prima. Nel contesto di questa discussione, che sta ormai entrando nel vivo durante l’attuale semestre di presidenza francese dell’UE, è importantissimo per l’Italia che le sue posizioni siano esposte in Europa da un personaggio come Mario Draghi. Un leader che non manca certo di credibilità internazionale.
L’Italia ha davanti a sé un anno molto particolare, in cui deve approfittare del dopo-pandemia per rilanciare una crescita economica che da decenni era già molto debole prima che arrivasse il Covid. Le cifre dell’economia italiana nel 2021, rese note in questi giorni, sono buone ma questo risultato servirà a poco se la tendenza favorevole non verrà confermata nei prossimi anni. La stabilità politica è fondamentale non solo perché occorre un governo solido per prendere decisioni talvolta impopolari quanto indispensabili. La stabilità politica è fondamentale anche perché oggi la fiducia internazionale di ogni Paese è la « materia prima » con cui si fabbrica la sua solidità sui mercati finanziari (cosa doppiamente importante per un Paese indebitato come l’Italia, con un debito pubblico pari oggi a 2.700 miliardi di euro). Per un anno ancora, l’Italia sarà praticamente retta congiuntamente dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella e dal presidente del consiglio Mario Draghi. La loro sarà più di una collaborazione istituzionale. Sarà una vera «causa comune» politica, nel senso del leccarsi le nuove ferite della pandemia e anche alcune vecchie ferite ancora sanguinanti sul terreno della società, dell’eguaglianza e della giustizia. Non sappiamo se il duo Mario-Sergio avrà successo, ma abbiamo tutti interesse a sperare di sì.
Mentre Mattarella parlava a Montecitorio, mi sono scritto alcune sue frasi. Compresa questa : « Dignità è un Paese libero dalle mafie, dal ricatto della criminalità e anche dalla complicità di chi fa finta di non vedere ». I problemi, qualsiasi essi siano, si possono risolvere solo se si smette di « far finta di non vedere ». Il tandem Draghi-Mattarella andrà probabilmente avanti fino alle elezioni politiche, previste nel marzo 2023. Hanno molto da pedalare, ma dovrebbero riuscire a farlo in buona armonia. Poi la parola spetterà agli italiani, che saranno i soli responsabili della propria scelta. Se le cose non andranno bene potranno prendersela in primo luogo con se stessi. Questo è il bello della libertà. Che, come dice Conte (Paolo, non Giuseppe), rischia sempre di subire il fascino delle «perline colorate» più di quello dei solidi e spesso poco seducenti programmi di riforma (qui YouTube della canzone di Conte « Gelato al limon »).
Alberto Toscano
La maturità dell’Euro a vent’anni
22 janvier 2022
L’Euro è più che maturo perché ha compiuto 20 anni da quando circola e 30 dal suo concepimento. Ossia dall’inizio della sua gestazione stabilita dalla Commissione europea con il Trattato di Maastricht del 1992, per cui per venire alla luce era necessario che questa lo accogliesse apparendo dappertutto chiara nelle proprie regole: inflazione e tassi d’interesse ammessi rispettivamente entro le percentuali annuali non superiori per più di 1,5 pp alla media di quelle dei tre Stati in cui era più bassa; deficit pubblici annuali entro il 3% del PIL; e debito pubblico contenuto entro il 60% di questo.
Alcuni ospiti per i festeggiamenti per il ventennale dell’Euro
Tre anni dopo il suo concepimento e per i tre anni precedenti l’inizio della sua circolazione era altresì stabilito che il suo tasso di cambio con le monete nazionali fosse quello del 31 dicembre 1998 con l’ECU, ossia con l’unità di conto intanto creata come comune unità di misura. Così era posto un termine alle svalutazioni competitive tra le monete nazionali, le quali tanto potevano favorire le esportazioni dei Paesi che le effettuavano quanto erano contemporaneamente causa ed effetto delle inflazioni, rispettivamente come aumento dei prezzi delle materie prime importate e come tasso di cambio più caro dovuto alla maggiore circolazione della propria moneta (a sua volta causa ed effetto della variazione dei tassi d’interesse, poiché l’aumento di questi che doveva contenerla era provocato dalla circolazione eccessiva). Così, insomma, venivano contenuti questi virus interdipendenti. E per contenere la circolazione monetaria non potevano essere tra l’altro più stampati biglietti che servissero ad ulteriori crescite del debito pubblico.
A garanzia di tutto ciò era stata creata nel 1998 la Banca Centrale Europea, destinata a sostituire le Banche centrali nazionali nel controllo con i tassi e nelle emissioni della nuova moneta, a Francoforte come (a suo tempo) la Bundesbank per essere in questi compiti indipendente dalle capitali governative. Il ché faceva comodo non solo ai Governi, che fino a prima, volenti o nolenti, erano stati responsabili dei diversi dilatamenti delle rispettive spese pubbliche e perciò delle rispettive circolazioni monetarie, ossia delle rispettive inflazioni e conseguentemente dei rispettivi tassi e delle rispettive svalutazioni, ma anche di quelli che fino ad allora erano riusciti a contenerle di più, poiché come Mitterrand ha potuto così giustificare l’inversione della politica economica da quella all’inizio del suo primo settennato, e come Ciampi(dopo il “salasso” di Amato del 1992 di 93.000 miliardi di lire di tagli di spesa e incrementi delle imposte) da Presidente del Consiglio ha riavviato dal 1993 l’Italia sulla strada virtuosa, così Kohlnon ha temuto che la fine della supremazia del marco fosse dovuta non all’inflazione da questo subita (seppure più leggermente che altrove) per la riunificazione tedesca, ma al consolidamento monetario della Comunità Europea e poi dell’UE necessario alla Storia quanto la riunificazione stessa.
Il trattato di Maastricht è nato!
E così i criteri di Maastricht e le regole dell’unione monetaria e dell’Euro hanno poi fatto comodo dappertutto a tutti i Governi successivi, anche di tendenze opposte (nei Paesi originari nell’Euro: Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Olanda, Portogallo, Spagna) e anche degli Stati successivamente entrati (Slovenia, Cipro, Malta, Slovacchia, Estonia, Lettonia, Lituania), e le critiche e fantasie alternative sono rimaste solo (e spesso non definitivamente) nelle più chiassose campagne elettorali di opposizione. Anche dopo che l’adattamento dei prezzi all’Euro aveva creato i loro forti iniziali rialzi, e anche quando la maggiore integrazione finanziaria aveva fatto temere nel 2007 che il fallimento della “Lehman Brothers” sarebbe stato il fulmine esterno che avrebbe causato il cortocircuito di tutto il sistema. Allora infatti i crolli e contagi delle borse non hanno messo questo in crisi più di quanto si è temuto successivamente, poiché la vigilanza della BCE è stata determinante quanto quella delle precedenti Banche centrali che l’integrano, e intanto gli effetti dei criteri da questa accentrati di gestione dell’Euro avevano già portato a rivalutarlo sul Dollaro (a tal punto da ammettere infine negli USA e nella sua area d’influenza una politica più keynesiana, con margini leggermente superiori d’inflazione a sostegno della domanda e con questa della produzione, e per reazione con tassi d’interesse leggermente più alti di quelli nell’area dell’Euro).
Né allora e né nel 2008 i contagi di sfiducia nel sistema bancario (per i suoi crediti dubbi verso il settore immobiliare e i sub-primes negli USA e verso i titoli di Stato in Europa), tali da essere stati seguiti da un periodo di recessione, hanno dunque indebolito questo sistema, che anzi è rimasto solido pure tra il 2009 e il 2012, quando l’annuncio del deficit della Grecia, più che quadruplo rispetto ai criteri di Maastricht, ha messo alla luce le altre violazioni di questi pure da parte dei debiti pubblici degli altri Stati (in misura fortemente diversa Italia, Portogallo, Spagna e Irlanda), e ha introdotto il meccanismo europeo di stabilità, ossia d’aiuto allo Stato in crisi affinché il danno fosse seguito da una ripresa virtuale anziché dal fallimento delle banche causato dalla loro quantità di titoli di debito pubblico e di altri crediti verso le attività in ulteriore recessione nel clima di sfiducia generale.
Se invece non ci fosse stato l’Euro, non solo la Grecia si sarebbe allora trovata nella stessa situazione di oggi della Turchia dove neanche Erdogan sa più cosa fare con la sua lira (dopo aver alternato ai tassi alti contro l’inflazione quelli bassi con l’idea di contenere questa con l’aumento di produzione), e lo “spread” (ossia la differenza di mercato dei tassi dei debiti pubblici tra i diversi Paesi nei quali, come la fiducia, trascinano gli altri tassi) in ambito europeo sarebbe stato più simile al confronto con quello delle rispettive monete negli anni 70 e 80 o quello con l’Argentina o il Libano che a quello che, proprio perché più limitato dall’Euro in comune, è divenuto pure un argomento di campagna elettorale.
E limitato tra gli stessi tassi contenuti fino al punto di costringere Draghi nel 2012 con il “whatever it takes” ad anticipare contro la sfiducia, la recessione e la deflazione (anche con gli interessi negativi) quei provvedimenti d’espansione della circolazione monetaria, come gli acquisti dei titoli di Stato da parte della BCE (“quantitative easing”), con cui già la Banca Centrale giapponese e la “Federal Reserve” negli USA sostenevano la domanda, e con cui poi le conseguenze del covid non hanno paralizzato il sistema.
Ancora quest’anno Lagarde ha dichiarato di voler agire con i tassi non meno cautamente che con l’immissione di altra circolazione monetaria, in tanto contenuta in quanto residua a quella già effettuata per evitare le paralisi, e in quanto in aggiunta a quella del “Next generation UE” da Bruxelles, la quale (come il conseguente PNRR) è indirizzata a programmi precisi di transizioni (verde, digitale, di crescita, formazione, riorganizzazione pubblica, infrastrutturale, sanitaria, ecc.) e perciò di investimenti che non comportano un’inflazione fisiologica maggiore delle spese.
Allora, l’ottimismo è giustificato? Sì, se queste transizioni compenseranno soprattutto gli attuali aumenti di disoccupazione conseguenti al covid. Sì, se con la transizione energetica si compenseranno altresì gli attuali riaumenti di prezzo delle risorse (greggio, gas, elettricità, ecc., anche a fronte del taglio o della riduzione di quelle dalla Russia se s’inasprirà ulteriormente la questione dell’Ucraina). No, invece, se le critiche oscillano tra gli estremi: quello (fino a poco tempo fa) di non sufficiente inflazione per sostenere la domanda, o di recessione con il prezzo del greggio basso, e quello d’un’inflazione che comincia a essere eccessiva sia per i consumi e i risparmi che poi per il conseguente aumento dei tassi per i prestiti. Ma almeno l’Euro ha accomunato anche i provvedimenti di reazione (e il covid ha costretto a minori divergenze tra i rigoristi e i meno rigoristi, poiché in alternativa anche le epidemie economiche sono importate), non diversamente da come il Dollaro passa pure da un periodo di tassi bassi a sostegno degli investimenti e della contenuta inflazione, a sostegno della domanda, a un periodo in cui l’inflazione stessa comincia a essere considerata eccessiva, e d’altra parte per evitare la stagnazione non sollecita Powell alla Federal Reserve più di Lagarde alla BCE ad alzare bruscamente i tassi.
Concludendo, l’Euro a vent’anni appare come una creatura fisicamente più solida delle vecchie monete estinte, ma la sua alternanza tra i raffreddamenti e i surriscaldamenti dev’essere controllata non meno di com’era stato previsto a Maastricht, pur cambiando le cifre rosse del termometro.
Lodovico Luciolli
Ultimo aggiornamento: 29/03/2023 07:20