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Manifestion GARIWO de Marseille - le 18/05/2022 14:51 par Rebecca|ALL

La section italienne de l'UPF soutient GARIWO
et son président (ainsi que partenaire fondateur de l'UPF-ITA)
dans l'événement marseillais

Trois agrumes : un cédratier, un citronnier et un oranger plantés symboliquement en mémoire des trois premiers « Justes » célébrés à Marseille

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Hier soir à Marseille au Centre Edmond Fleg, les communautés juive, arménienne et rwandaise se sont réunies pour l'inauguration virtuelle du premier Jardin des Justes du monde entier qui ouvrira en France.

En présence de Gabriele Nissim, président et co-fondateur de GARIWO (Gardens of the Righteous Worldwide) créée pour se souvenir de ceux qui ont défendu la dignité humaine contre toutes sortes de génocides, les trois premiers arbres ont été symboliquement plantés en honneur et en souvenir. du journaliste américain Varian Fry, qui avait sauvé des juifs pendant la Shoah, du vice-amiral français Louis Dartige du Fournet, qui avait sauvé les Arméniens du Mussa Dagh pendant le génocide et de la religieuse catholique rwandaise Felicité Niyigeta dite « IKIMANIKA » qui avait opéré pour sauver les Tutsis pendant le génocide.

GARIWO est une fondation culturelle basée à Milan et c’est sous son l'impulsion que plus d'une centaine de Giardini dei Giusti ont été ouverts en Italie et dans le monde. Elle est née de la rencontre de Gabriele Nissim avec Pietro Kuciukian, Ulianova Radice et Anna Maria Samuelli, qui en furent les fondateurs.

Les Jardins des Justes sont le symbole vivant des activités culturelles et éducatives de GARIWO.

Depuis 1999, GARIWO travaille à faire connaître les Justes et à promouvoir la "Mémoire du Bien" qui est considérée comme un outil pédagogique puissant pour prévenir les génocides et les crimes contre l'humanité. La mémoire devient ainsi une forme d'éducation, liée à une prise de conscience qui met en avant la responsabilité individuelle.

Les Justes ne sont ni des saints ni des héros, mais des individus qui, en pleine conscience, ont décidé de combattre le mal, de ne pas suivre des ordres ou simplement de désobéir pour sauver des vies.

Des personnages du passé, du présent qui représentent "l'Espoir de l'Humanité".

La rencontre, en février 2018 à Marseille à l'occasion d'une conférence, entre Gabriele Nissim et Evelyne Sitruk, présidente du centre Edmond Fleg, a été l'étincelle qui a fait naître ce premier jardin des Justes sur le sol français.

Evelyne Sitruk a travaillé pour que ce jardin puisse voir le jour à Marseille, et ces trois premières plantes emblématiques attendent que la Municipalité de la ville phocéenne offre un espace vert qui sera dédié à cette initiative.

Une soirée dédiée à la collaboration multiethnique et animée par une représentation musicale qui en traduit pleinement l'esprit.


Giornata per la Libertà di Stampa - le 03/05/2022 09:04 par Rebecca

Disparition de Luciano Ceschia - le 28/04/2022 10:43 par Alberto_Toscano

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Chers amis, le doyen d'âge de notre Association nous a quittés ce matin. Luciano Ceschia, né à Trieste le 13 décembre 1934, fut un grand journaliste, longtemps président de la Fédération Nationale de la Presse (FNSI), sa présence à l'UPFI restera à jamais comme un témoignage du sérieux professionnel de notre association.


“Aushwitz non finisce mai” di Gabriele Nissim - le 27/03/2022 17:01 par Rebecca

Ausschwitz_non_finisce_mai_Nissim.jpgGabriele Nissim, scrittore, giornalista, presidente e co-fondatore di GARIWO (la Foresta dei Giusti di tutto il mondo) creata per ricordare coloro che hanno difeso la dignità umana contro ogni sorta di genocidio, è l’autore del recente libro “Aushwitz non finisce mai” edito da Rizzoli.

Il saggio è disponibile in libreria dall’inizio di marzo, a ridosso del decimo anniversario della Giornata europea dei Giusti (riconosciuta dal Parlamento Europeo il 10 maggio del 2012 e celebrata ogni 6 marzo), accompagnato da un imprevedibile vento di guerra che rende le sue tematiche ancor più attuali di quanto l’autore stesso avrebbe potuto forse immaginare.

Sottotitolo del libro “La memoria della Shoah e i nuovi genocidi”; tratta infatti della Shoah dal suo difficile riconoscimento fino al concetto di “genocidio”, coniato dal polacco Raphael Lemkin, un termine che la ingloba senza togliere nulla alla sua specificità.

Nissim attraverso i pensieri, gli interrogativi di personaggi come Simone Veil, Primo Levi, Yehuda Bauer , Avraham Burg, Spinoza e Raphael Lemkin ci porta a riconoscere il valore universale della Shoah.

La sua singolarità, e -non unicità- fa sì che la Shoah, un “genocidio senza precedenti” come la definisce lo studioso Bauer possa diventare chiave di lettura e monito per evitarne di nuovi, una lente di ingrandimento per metterne a fuoco l’orrore, riconoscerlo e cercare di combatterlo.

Unicità significa che la Shoah non si potrà mai più ripetere……, e per questo Bauer osserva ironicamente che possiamo quindi stare tranquilli per il futuro e anche dimenticarcene, perché non ci riguarderà più.

Lo studioso israeliano preferisce utilizzare l’espressione “genocidio senza precedenti”, che mette in evidenza come contro gli ebrei ne sia attuato uno con caratteristiche di nuovo tipo.

 Compito degli Stati e degli uomini contemporanei fare l’analisi di somiglianze e differenze con le atrocità del passato per “impedire che l’Olocausto da “non precedente” si trasformi in un precedente di una catena che continua”.

Non si può fare una gerarchia del dolore, una graduatoria dei genocidi.

Il loro comune denominatore è “l’intenzionalità di annientare un gruppo usando ogni forma di violenza e di brutalità che disumanizza gli individui destinati allo sterminio. È questa la continuità. Ciò che invece rappresenta un non precedente nella storia dei genocidi è che la Shoah è stato un genocidio con caratteristiche “universali”, perché i nazisti non si proponevano di eliminare gli ebrei all’interno di un territorio, come per esempio è avvenuto per gli armeni, ma di procedere nella soluzione finale in ogni parte del mondo.

Se Bauer e con lui l’israeliano Avraham Burg colpiscono per il loro modo di mettere in discussione l’unicità della Shoah e il paragone con gli altri genocidi, è il giurista polacco Lemkim che risalta nel saggio di Nissim per il suo ruolo fondamentale e l’opera svolta.

Una parte importante del libro gli è infatti riservata: a lui, alla sua storia, al suo percorso alla sua ostinazione senza fine per riuscire a fare approvare dalle Nazioni Unite nel 1948 la prima legge internazionale contro i genocidi, resi possibili come analizza il giurista polacco anche grazie all’indifferenza: Non era colpevole solo chi li stava compiendo, ma seppure con una responsabilità diversa, anche chi avallava la cospirazione del silenzio.”

E lo scopo di Lemkim al di là della punizione dei colpevoli è la prevenzione di questi crimini per il futuro dell’umanità… “Non c’è genocidio che non si ripercuota su tutta l’umanità”.

Agire dunque non perché spinti solo da “ragione di umana compassione”, ma per un mondo comune da preservare.

Nelle sue memorie scrive che “un intellettuale non deve avere solo buone idee, ma deve accompagnarle nella vita per realizzarle”, proprio quello che lui farà senza appunto mai demordere, e la storia delle sue tante battaglie dalle pagine di Nissim risulta quanto mai avvincente.

La memoria della Shoah prende un nuovo cammino; piuttosto che rimanere ancorati al passato, serve impegnarsi alla costruzione di un futuro migliore.

E il “mai più” di Lemkim mira appunto alla costruzione di una nuova società in grado di mettere al bando ogni sorta di genocidio.

Come nota l’autore, l’opera di Lemkim, al pari di quella di Socrate, stimola la nascita di una nuova coscienza con il suo continuo “questionnement”. Che non risparmia nessuno, lettore incluso.

Un lettore che non potrà esimersi dal porsi a sua volta non una ma tante domande e dal rimettersi in discussione

Gabriele Nissim dipana il suo “racconto”, inframezzandolo con ricordi e riflessioni personali che lo rendono ancora più vivo.

Un libro per capire meglio il passato, il presente e chiedersi una volta di più come affrontare il futuro.

Rebecca Ricci Bossi


L’Appunto di Alberto Toscano – febbraio 2022 - le 05/02/2022 13:38 par Alberto_Toscano

L’Appunto di Alberto Toscano – febbraio 2022

In attesa del Festival di Sanremo, il popolo della Felice Penisola si è concentrato per una settimana sulle trasmissioni dall’anfiteatro di Montecitorio. Anche lì si votava, con la differenza che i titoli delle principali canzoni in lizza erano veramente pochi. In particolare « Bianca, Bianca, Bianca » (pare che a un certo punto la Berlinguer si sia montata la testa) e « Casellati, Casellati, Casellati » (ma, in questo coro, i giornalisti musicali hanno notato qualche stonatura). Alla fine tutti gli italiani hanno applaudito e fischiettato il popolarissimo motivetto « Mattarella, Mattarella, Mattarella », che ha trionfato al Festival di Roma.

Rubrique-AlbertoIMG_4757-3.pngBentornato, Presidente ! Sei stato via una settimana e già si sentiva la tua mancanza. Te n’eri appena andato con i tuoi scatoloni e già stava succedendo un pasticcio. Adesso sbrigati a dare a tutti il segnale della fine della ricreazione. Altrimenti  – come ai tempi di Romolo e Remo, dei Guelfi e dei Ghibellini, dei Montecchi e dei Capuleti, di Bartali e Coppi – il popolo della Felice Penisola ricomincerà a scannarsi tra fazioni e sottofazioni. Il tuo merito principale, caro Presidente, è quello di esistere come simbolo di persone che adorano dividersi. Per noi italiani questa è una cosa fondamentale. Tu parli poco, ma non lo fai mai a caso. Anche per questo, noi popolo di chiacchieroni ti vogliamo bene. Volevi andartene e invece ti hanno costretto a tornare. Hai fatto un trasloco e subito dopo devi farne un altro in senso opposto. Qualcuno dice che ti dimetterai tra uno o due anni, ma penso si sbagli. Sono convinto che – se continuerai a godere di buona salute, come tutti ti auguriamo – porterai a termine il tuo secondo mandato e starai per altri sette anni nel palazzo che fu abitato dai papi e dai re. Te ne andrai nel 2029, quando avrai 88 anni e gli italiani continueranno a litigare tra loro. Ma prima o poi il popolo della Felice Penisola dovrà imparare a cavarsela senza il tuo aiuto.

Sergio Mattarella è tornato al Quirinale e di questo tutti o quasi si rallegrano. È tornato al Quirinale, ma sulla sua rielezione pesa un elemento preoccupante : quella scelta opportuna, corale e certamente utile all’Italia è stata compiuta solo perché non si sapeva cos’altro fare. È stata compiuta perché la politica stava sprofondando nelle sabbie mobili della propria rissosa impotenza.

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Foto AgenziaDire

Sto scrivendo queste righe con la tv accesa e Sergio Mattarella, il presidente vecchio-nuovo, che – fatto il giuramento – sta parlando alle Camere riunite (qui YouTube del discorso di Mattarella il 3 febbraio a Montecitorio). È un vero discorso programmatico per un vero mandato che – ne ero convito poco fa e me ne convinco ancor di più col passare dei minuti – ha evidentemente l’intenzione di portare a termine.

Altra sensazione molto chiara : Mattarella vuole pesare nella politica italiana proprio come ha fatto nel suo altro settennato e come fece in precedenza Giorgio Napolitano.Nei pochi (davvero pochi) commenti dei media francesi a queste presidenziali sono rimbalzate considerazioni riassunte dalla frase « In Italia il capo dello Stato ha funzioni protocollari ». Come se non contasse nulla. Certo che ha anche funzioni protocollari, ma quell’affermazione è inesatta e fuorviante.

Benché il presidente della Repubblica italiana non sia eletto a suffragio universale diretto, il suo peso politico è fondamentale nel garantire – anche nella vita quotidiana – il rispetto della Costituzione. Non sono parole « protocollari ». Per capirlo basta ripensare alla collera con cui alcuni critici di Napolitano e di Mattarella si sono scagliati anni fa contro il Quirinale. Il governo Monti scaturì dall’iniziativa di Napolitano. Quello Draghi è figlio di Mattarella. Il peso reale dei presidenti della Repubblica italiana si vede proprio nei momenti critici, che negli ultimi decenni certo non sono mancati. Se tutto va bene, il Quirinale è un palazzo su un colle di Roma. Ma se tira aria di bufera il suo ruolo può essere importantissimo. Mattarella è riuscito a mostrare fermezza quando riteneva fosse necessario, cercando però il dialogo e l’intesa. Persino chi era arrivato a chiedere il suo impeachment si è spellato le mani nell’applaudire il suo discorso del 3 febbraio pomeriggio a Montecitorio.

Intervistata da Radio Rai, una corrispondente tedesca a Roma si dice allibita perché la politica italiana ha perso una settimana nelle elezioni presidenziali mentre sul terreno ci sono tanti problemi da risolvere. A parte il fatto che la politica tedesca ha impiegato mesi a negoziare per la maggioranza di governo, il punto non sta in quella settimana « persa », ma nei rischi che – a causa delle incertezze, delle fibrillazioni e delle furbizie dei partiti – l’Italia ha corso in quei giorni cruciali, tra lunedì 24 gennaio (inizio delle votazioni) e sabato 29 (elezione di Mattarella con 759 voti su 1009 aventi diritto al voto). Tutti i partiti hanno qualche responsabilità, ma non tutti hanno lo stesso grado di responsabilità in un gioco che ha fatto correre al Paese un reale pericolo di destabilizzazione. Ciascuno di noi ha le proprie opinioni sul comportamento degli uni e degli altri. Questa diversità di giudizio è sacrosanta, ma è chiaro che l’Italia si è trovata sull’orlo di una crisi molto seria perché le sue rappresentanze politiche hanno mancato di lungimiranza. Siccome tutto è bene quel che finisce bene, adesso gli italiani sono contenti e gli europei pure. L’eventuale destabilizzazione della politica italiana avrebbe avuto pesanti conseguenze nell’UE nel periodo delicatissimo in cui sono in gioco sia l’applicazione del piano di rilancio comunitario (con finanziamenti subordinati al rispetto degli impegni assunti da ciascuno Stato membro) sia la definizione delle nuove norme comunitarie rispetto a deficit di bilancio e debito pubblico.

Proprio trent’anni fa, nel febbbraio 1992, i rappresentanti dei governi europei firmarono il protocollo ufficiale del Trattato di Maastricht in questa città olandese in cui due mesi prima i leaders avevano raggiunto l’accordo per nascita della moneta unica. Furono stabiliti cinque criteri, di cui i più noti e importanti sono il tetto del 3 per cento del PIL per il deficit della finanza pubblica e il 60 per cento del PIL per il debito. Oggi è ben difficile rispettare quei parametri. È anche difficile attenersi alla nuova versione di quella scelta, scaturita nel 1997 col « Patto di stabilità e di crescita », sospeso con l’arrivo della tempesta Covid. Ma la tempesta passerà e bisogna capire cosa ci sarà dopo. Il ritorno puro e semplice al «Patto», che ha garantito poca stabilità e soprattutto poca crescita comune, è improbabile e forse impossibile. Qui si nascondono i veri punti deboli nella storia dell’euro, che è nel suo insieme un grande successo. Dietro le richieste di alcuni di legare gli altri a rigide politiche di bilancio, c’è un problema di fiducia reciproca ancora da costruire. Piaccia o non piaccia, dopo la tempesta Covid alcune regole chiare andranno adottate. Piaccia o non piaccia, quelle regole non potranno essere identiche a quelle di prima. Nel contesto di questa discussione, che sta ormai entrando nel vivo durante l’attuale semestre di presidenza francese dell’UE, è importantissimo per l’Italia che le sue posizioni siano esposte in Europa da un personaggio come Mario Draghi. Un leader che non manca certo di credibilità internazionale.

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L’Italia ha davanti a sé un anno molto particolare, in cui deve approfittare del dopo-pandemia per rilanciare una crescita economica che da decenni era già molto debole prima che arrivasse il Covid. Le cifre dell’economia italiana nel 2021, rese note in questi giorni, sono buone ma questo risultato servirà a poco se la tendenza favorevole non verrà confermata nei prossimi anni. La stabilità politica è fondamentale non solo perché occorre un governo solido per prendere decisioni talvolta impopolari quanto indispensabili. La stabilità politica è fondamentale anche perché oggi la fiducia internazionale di ogni Paese è la « materia prima » con cui si fabbrica la sua solidità sui mercati finanziari (cosa doppiamente importante per un Paese indebitato come l’Italia,  con un debito pubblico pari oggi a 2.700 miliardi di euro). Per un anno ancora, l’Italia sarà praticamente retta congiuntamente dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella e dal presidente del consiglio Mario Draghi. La loro sarà più di una collaborazione istituzionale. Sarà una vera «causa comune» politica, nel senso del leccarsi le nuove ferite della pandemia e anche alcune vecchie ferite ancora sanguinanti sul terreno della società, dell’eguaglianza e della giustizia. Non sappiamo se il duo Mario-Sergio avrà successo, ma abbiamo tutti interesse a sperare di sì.

Mentre Mattarella parlava a Montecitorio, mi sono scritto alcune sue frasi. Compresa questa : « Dignità è un Paese libero dalle mafie, dal ricatto della criminalità e anche dalla complicità di chi fa finta di non vedere ». I problemi, qualsiasi essi siano, si possono risolvere solo se si smette di « far finta di non vedere ». Il tandem Draghi-Mattarella andrà probabilmente avanti fino alle elezioni politiche, previste nel marzo 2023. Hanno molto da pedalare, ma dovrebbero riuscire a farlo in buona armonia. Poi la parola spetterà agli italiani, che saranno i soli responsabili della propria scelta. Se le cose non andranno bene potranno prendersela in primo luogo con se stessi. Questo è il bello della libertà. Che, come dice Conte (Paolo, non Giuseppe), rischia sempre di subire il fascino delle «perline colorate» più di quello dei solidi e spesso poco seducenti programmi di riforma (qui YouTube della canzone di Conte « Gelato al limon »).

Alberto Toscano


La maturità dell’Euro a vent’anni - le 26/01/2022 11:17 par Lodovico_Luciolli

La maturità dell’Euro a vent’anni

22 janvier 2022

L’Euro è più che maturo perché ha compiuto 20 anni da quando circola e 30 dal suo concepimento. Ossia dall’inizio della sua gestazione stabilita dalla Commissione europea con il  Trattato di Maastricht del 1992, per cui per venire alla luce era necessario che questa lo accogliesse apparendo dappertutto chiara nelle proprie regole: inflazione e tassi d’interesse ammessi rispettivamente entro le percentuali annuali non superiori per più di 1,5 pp alla media di quelle dei tre Stati in cui era più bassa; deficit pubblici annuali entro il 3% del PIL; e debito pubblico contenuto entro il 60% di questo.

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Alcuni ospiti per i festeggiamenti per il ventennale dell’Euro

Tre anni dopo il suo concepimento e per i tre anni precedenti l’inizio della sua circolazione era altresì stabilito che il suo tasso di cambio con le monete nazionali fosse quello del 31 dicembre 1998 con l’ECU, ossia con l’unità di conto intanto creata come comune unità di misura. Così era posto un termine alle svalutazioni competitive tra le monete nazionali, le quali tanto potevano favorire le esportazioni dei Paesi che le effettuavano quanto erano contemporaneamente causa ed effetto delle inflazioni, rispettivamente come aumento dei prezzi delle materie prime importate e come tasso di cambio più caro dovuto alla maggiore circolazione della propria moneta (a sua volta causa ed effetto della variazione dei tassi d’interesse, poiché l’aumento di questi che doveva contenerla era provocato dalla circolazione eccessiva). Così, insomma, venivano contenuti questi virus interdipendenti. E per contenere la circolazione monetaria non potevano essere tra l’altro più stampati biglietti che servissero ad ulteriori crescite del debito pubblico.

A garanzia di tutto ciò era stata creata nel 1998 la Banca Centrale Europea, destinata a sostituire le Banche centrali nazionali nel controllo con i tassi e nelle emissioni della nuova moneta, a Francoforte come (a suo tempo) la Bundesbank per essere in questi compiti indipendente dalle capitali governative. Il ché faceva comodo non solo ai Governi, che fino a prima, volenti o nolenti, erano stati responsabili dei diversi dilatamenti delle rispettive spese pubbliche e perciò delle rispettive circolazioni monetarie, ossia delle rispettive inflazioni e conseguentemente dei rispettivi tassi e delle rispettive svalutazioni, ma anche di quelli che fino ad allora erano riusciti a contenerle di più, poiché come Mitterrand ha potuto così giustificare l’inversione della politica economica da quella all’inizio del suo primo settennato, e come Ciampi(dopo il “salasso” di Amato del 1992 di 93.000 miliardi di lire di tagli di spesa e incrementi delle imposte) da Presidente del Consiglio ha riavviato dal 1993 l’Italia sulla strada virtuosa, così Kohlnon ha temuto che la fine della supremazia del marco fosse dovuta non all’inflazione da questo subita (seppure più leggermente che altrove) per la riunificazione tedesca, ma al consolidamento monetario della Comunità Europea e poi dell’UE necessario alla Storia quanto la riunificazione stessa.

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Il trattato di Maastricht è nato!

E così i criteri di Maastricht e le regole dell’unione monetaria e dell’Euro hanno poi fatto comodo dappertutto a tutti i Governi successivi, anche di tendenze opposte (nei Paesi originari nell’Euro: Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Olanda, Portogallo, Spagna) e anche degli Stati successivamente entrati (Slovenia, Cipro, Malta, Slovacchia, Estonia, Lettonia, Lituania), e le critiche e fantasie alternative sono rimaste solo (e spesso non definitivamente) nelle più chiassose campagne elettorali di opposizione. Anche dopo che l’adattamento dei prezzi all’Euro aveva creato i loro forti iniziali rialzi, e anche quando la maggiore integrazione finanziaria aveva fatto temere nel 2007 che il fallimento della “Lehman Brothers” sarebbe stato il fulmine esterno che avrebbe causato il cortocircuito di tutto il sistema. Allora infatti i crolli e contagi delle borse non hanno messo questo in crisi più di quanto si è temuto successivamente, poiché la vigilanza della BCE è stata determinante quanto quella delle precedenti Banche centrali che l’integrano, e intanto gli effetti dei criteri da questa accentrati di gestione dell’Euro avevano già portato a rivalutarlo sul Dollaro (a tal punto da ammettere infine negli USA e nella sua area d’influenza una politica più keynesiana, con margini leggermente superiori d’inflazione a sostegno della domanda e con questa della produzione, e per reazione con tassi d’interesse leggermente più alti di quelli nell’area dell’Euro).

Né allora e né nel 2008 i contagi di sfiducia nel sistema bancario (per i suoi crediti dubbi verso il settore immobiliare e i sub-primes negli USA e verso i titoli di Stato in Europa), tali da essere stati seguiti da un periodo di recessione, hanno dunque indebolito questo sistema, che anzi è rimasto solido pure tra il 2009 e il 2012, quando l’annuncio del deficit della Grecia, più che quadruplo rispetto ai criteri di Maastricht, ha messo alla luce le altre violazioni di questi pure da parte dei debiti pubblici degli altri Stati (in misura fortemente diversa Italia, Portogallo, Spagna e Irlanda), e ha introdotto il meccanismo europeo di stabilità, ossia d’aiuto allo Stato in crisi affinché il danno fosse seguito da una ripresa virtuale anziché dal fallimento delle banche causato dalla loro quantità di titoli di debito pubblico e di altri crediti verso le attività in ulteriore recessione nel clima di sfiducia generale.

Se invece non ci fosse stato l’Euro, non solo la Grecia si sarebbe allora trovata nella stessa situazione di oggi della Turchia dove neanche Erdogan sa più cosa fare con la sua lira (dopo aver alternato ai tassi alti contro l’inflazione quelli bassi con l’idea di contenere questa con l’aumento di produzione), e lo “spread” (ossia la differenza di mercato dei tassi dei debiti pubblici tra i diversi Paesi nei quali, come la fiducia, trascinano gli altri tassi) in ambito europeo sarebbe stato più simile al confronto con quello delle rispettive monete negli anni 70 e 80 o quello con l’Argentina o il Libano che a quello che, proprio perché più limitato dall’Euro in comune, è divenuto pure un argomento di campagna elettorale.

E limitato tra gli stessi tassi contenuti fino al punto di costringere Draghi nel 2012 con il “whatever it takes” ad anticipare contro la sfiducia, la recessione e la deflazione (anche con gli interessi negativi) quei provvedimenti d’espansione della circolazione monetaria, come gli acquisti dei titoli di Stato da parte della BCE (“quantitative easing”), con cui già la Banca Centrale giapponese e la “Federal Reserve” negli USA sostenevano la domanda, e con cui poi le conseguenze del covid non hanno paralizzato il sistema.

Ancora quest’anno Lagarde ha dichiarato di voler agire con i tassi non meno cautamente che con l’immissione di altra circolazione monetaria, in tanto contenuta in quanto residua a quella già effettuata per evitare le paralisi, e in quanto in aggiunta a quella del “Next generation UE” da Bruxelles, la quale (come il conseguente PNRR) è indirizzata a programmi precisi di transizioni (verde, digitale, di crescita, formazione, riorganizzazione pubblica, infrastrutturale, sanitaria, ecc.) e perciò di investimenti che non comportano un’inflazione fisiologica maggiore delle spese.

Allora, l’ottimismo è giustificato? Sì, se queste transizioni compenseranno soprattutto gli attuali aumenti di disoccupazione conseguenti al covid. Sì, se con la transizione energetica si compenseranno altresì gli attuali riaumenti di prezzo delle risorse (greggio, gas, elettricità, ecc., anche a fronte del taglio o della riduzione di quelle dalla Russia se s’inasprirà ulteriormente la questione dell’Ucraina). No, invece, se le critiche oscillano tra gli estremi: quello (fino a poco tempo fa) di non sufficiente inflazione per sostenere la domanda, o di recessione con il prezzo del greggio basso, e quello d’un’inflazione che comincia a essere eccessiva sia per i consumi e i risparmi che poi per il conseguente aumento dei tassi per i prestiti. Ma almeno l’Euro ha accomunato anche i provvedimenti di reazione (e il covid ha costretto a minori divergenze tra i rigoristi e i meno rigoristi, poiché in alternativa anche le epidemie economiche sono importate), non diversamente da come il Dollaro passa pure da un periodo di tassi bassi a sostegno degli investimenti e della contenuta inflazione, a sostegno della domanda, a un periodo in cui l’inflazione stessa  comincia a essere considerata eccessiva, e d’altra parte per evitare la stagnazione non sollecita Powell alla Federal Reserve più di Lagarde alla BCE ad alzare bruscamente i tassi.

Concludendo, l’Euro a vent’anni appare come una creatura fisicamente più solida delle vecchie monete estinte, ma la sua alternanza tra i raffreddamenti e i surriscaldamenti dev’essere controllata non meno di com’era stato previsto a Maastricht, pur cambiando le cifre rosse del termometro.

Lodovico Luciolli


Hommage à David Sassoli - le 17/01/2022 10:43 par D_Boulasha

Hommage à David Sassoli,
passionné par l’Europe et ‘uomo perbene’

Par Djémila Boulasha -

16 janvier 2022

David-Sassoli.jpgCe 11 janvier 2022, un illustre ‘Européen convaincu’[1] vient de tirer sa révérence. Humaniste animé par la passion de l’Europe, tel était l’Italien David-Maria Sassoli, Président social-démocrate du Parlement européen depuis le 3 juillet 2019, qui vient de disparaître à l’âge de 65 ans.Hospitalisé depuis le 26 décembre dernier à l’hôpital d’Aviano dans la province de Pordenone en Italie, il a succombé à une complication grave due à un dysfonctionnement du système immunitaire. Il avait déjà dû mettre ses activités entre parenthèses en automne pour raisons de santé.

Son mandat devait arriver à échéance la semaine prochaine, à la moitié de la législature quinquennale, conformément aux accords conclus entre les groupes politiques du Parlement européen S&D (Socialistes et démocrates), Parti Populaire Européen (PPE droite) et Renew Europe (centristes et libéraux). En 2019, ces derniers avaient soutenu son élection surprise (il ne faisait pas partie des candidats pressentis), à la faveur de tractations générales entre ces grands courants politiques européens pour se répartir les rênes des principales institutions européennes (Conseil européen, Commission européenne et Parlement européen) dans cet esprit de compromis si emblématique du microcosme européen ; une des conditions du ‘deal’ impliquant que la seconde moitié du mandat soit dévolue à l’élection d’un candidat PPE.

Le Parlement européen, qui se réunira en session plénière à Strasbourg du 17 au 20 janvier, avait ainsi prévu dans son agenda de procéder à l’élection de son nouveau Président; David Sassoli n’avait d’ailleurs pas souhaité se représenter nonobstant le soutien de son groupe, les sociaux-démocrates (S&D), deuxième force politique au Parlement européen, qui avait alors renoncé à présenter un candidat, ouvrant la voie à l’élection  probable de la candidate maltaise du groupe PPE (droite), Roberta Metsola, actuellement première vice-présidente du Parlement européen (qui en compte 14). La Camarde entre-temps s’en est mêlée, la désignant ainsi, conformément au règlement de cette institution, Présidente par intérim jusqu’à l’élection prévue le 18 janvier prochain.

Député européen depuis 2009, David Sassoli était devenu en 2014, suite à sa réélection, vice-président du Parlement européen en charge du budget, de l’immobilier et de la politique euro-méditerranéenne. En tant que membre de la Commission des transports et du tourisme, il avait été rapporteur pour la réforme ferroviaire européenne (4ème paquet ferroviaire) et le ciel unique européen. En 2019, il est élu à la tête de l’institution, succédant à l’Italien Antonio Tajani, proche de Silvio Berlusconi, membre du PPE et ancien journaliste comme lui.

Car David Sassoli, né le 30 mai 1956 à Florence, est en effet un ancien journaliste fort connu des téléspectateurs italiens. Après des études de sciences politiques, engagé dans des actions sociales éducatives, il chemine dans le milieu de la presse, collabore au quotidien Il Giorno. En 1989, il couvre sur place la chute du Mur de Berlin. Puis il intègre en 1992 la RAI dont il deviendra plus tard le présentateur vedette du journal télévisé de 20 heures sur la Rai Uno et vice-directeur. En 2009, il s’engage en politique, à la faveur de la création du Parti démocrate (PD) par Walter Veltroni, ex-maire de gauche de Rome en se présentant aux élections européennes sous cette bannière. Il devient le chef de la délégation du PD au sein du Parlement européen, institution européenne à laquelle il se consacre dès lors, hormis sa tentative avortée de se porter candidat aux primaires de son parti pour les élections municipales de Rome en 2013.

«Notre défi est de construire un nouveau monde respectueux de l’Homme et de la nature, avec une économie au service du bien-être de tous, et ne servant pas uniquement les intérêts de certains. Noël est le moment où l’espoir naît. Nous devons être cet espoir pour tous ceux qui sont dans le besoin, pour tous ceux qui sont confrontés à l’injustice.» Tels étaient ses ultimes vœux pour les fêtes de Noël et de fin d’année. Message qui caractérisait bien cet homme enclin à l’empathie et mû par le souci de contribuer à un monde meilleur.

Les hommages émus qui lui ont été rendus dans le milieu européen à Bruxelles, et ce quelle que soit la couleur politique, ainsi qu’en Italie et partout en Europe témoignent tous de cette personnalité bienveillante, ‘homme bon’ comme l’a déclaré Ursula von der Leyen, Présidente de la Commission européenne. Les drapeaux ont été mis en berne ce mardi 11 janvier devant les bâtiments des institutions européennes et une minute de silence a été observée devant le Parlement européen à Bruxelles. Une cérémonie est également prévue ce lundi à Strasbourg, où les Députés européens se retrouveront en session plénière. Des funérailles d’Etat ont été organisées en son honneur à Rome ce 14 janvier.

Parlement européen à Strasbourg

Homme politique réputé consensuel, facilitateur, bon connaisseur des arcanes institutionnelles européennes, oeuvrant dans un esprit de compromis et non de compromission, au-dessus des intrigues de palais, David Sassoli a dès le début de son mandat de Président dû faire face à la crise pandémique qui s’était abattue sur le monde; il a ainsi réinventé le Parlement européen pour qu’il puisse continuer ses travaux en mettant en place – une première dans le monde -, un mode de débat et de vote à distance des Députés européens. David Sassoli avait également initié en avril dernier une réflexion sur le futur du Parlement européen: ‘Repenser la démocratie parlementaire’, impliquant les Députés européens et le personnel administratif, tant les questions de démocratie européenne, la nécessaire reconnection réciproque de l’Europe et de ses institutions avec les citoyens, le souciaient. Il se réjouissait ainsi de l’implication des citoyens dans la Conférence du futur de l’Europe, exercice démocratique paneuropéen majeur lancé le 9 mai 2021, scandé par une série de débats impliquant les acteurs politiques dont le Parlement européen mais aussi et surtout les citoyens ; les travaux s’achèveront le 9 mai 2022 et aboutiront à des propositions sur l’Europe du futur.

Attaché au rôle pivot du Parlement européen, qu’il estimait devoir être le siège de la démocratie européenne, plaidant pour un droit d’initiative législative accordé à son institution, David Sassoli voulait faire de cette dernière «un Parlement moderne, plus transparent, éco-durable, accessible aux citoyens», comme il le soulignait dans son discours de candidature du 3 juillet 2019.

Ardent défenseur et promoteur de la démocratie européenne et des valeurs européennes, de liberté et des libertés publiques, de dignité, de solidarité et des Droits de l’Homme, et ce, à l’intérieur comme à l’extérieur de l’Union européenne, David Sassoli se montrait ferme avec les dérives illibérales de la Pologne et de la Hongrie. Il avait fait les frais de son engagement en faveur de l’opposant russe Alexei Navalny[2] en se retrouvant interdit d’entrée sur le territoire russe le 30 avril dernier, tout comme d’ailleurs les 7 autres responsables européens (dont la vice-présidente de la Commission européenne Vera Jourova, chargée des Valeurs et de la Transparence). Cela en représailles des sanctions adoptées par le Conseil de l’Union européenne les 2 et 22 mars derniers contre des responsables de l’arrestation d’Alexeï Navalny et de persécutions massives et systématiques perpétrées en Tchétchénie.

David Sassoli s’était attaché indubitablement à aller de l’avant dans l’Europe d’après ; il plaidait pour un budget européen à la hauteur des ambitions et des défis de l’Union européenne notamment en matière d’exclusion sociale, pour de véritables compétences en matière de santé et des prérogatives fortes pour venir à bout des inégalités, convaincu que pour vaincre le nationalisme qu’il considérait comme «un virus pour une Europe qui doit rester forte et unie», il fallait renforcer la démocratie et la solidarité.

La solidarité, précisément, n’était pas un vain mot pour lui qui, dès son entrée en fonction avait indiqué que, sous sa mandature, «le Parlement sera toujours ouvert aux ONG» en lien avec sa volonté de réformer les accords de Dublin sur les demandeurs d’asile et l’immigration. Il rappelait en juin 2021, en ouverture d’une conférence sur ces thématiques, qu’«un de nos premiers devoirs est de sauver des vies» s’indignant que cette responsabilité soit dévolue aux seules ONG. Solidarité et proximité avec les citoyens, tel a été son leitmotiv tout au long de son mandat. Ainsi, fraîchement élu, David Sassoli se rend le 5 juillet 2019 à la station de métro Maelbeek à Bruxelles, un des sites des attentats de Bruxelles de 2016, pour rendre hommage à toutes les victimes du terrorisme en Europe. Il se montre particulièrement sensible aux citoyens les plus fragiles. C’est ainsi qu’il visite, quelques mois après son élection, le 7 octobre 2019 à l’occasion de son premier déplacement en France, un des restos du cœur de Paris où il s’engage à faire de la protection des plus démunis une bataille centrale du Parlement européen et à défendre le Fonds européen d’aide aux plus démunis pour le doter d’un budget conséquent.

Pour joindre les actes à ses paroles, il n’avait pas hésité, fait unique dans les annales européennes, à mettre à disposition en pleine crise pandémique, les locaux et les infrastructures inutilisées du Parlement européen (aussi bien à Strasbourg, Bruxelles et Luxembourg): à Strasbourg, siège officiel du Parlement européen, c’est un centre de dépistage du Covid-19 qui s’installe le 11 mai 2020 au rez-de-chaussée du bâtiment Louise Weiss. Les cuisines de l’institution (dans les 3 villes) sont également mises à contribution puisque dès le 29 avril 2020, elles préparent quelque 500 à 1000 paniers-repas par jour, collectés par les associations caritatives et distribués quotidiennement à des familles monoparentales et des jeunes précaires. A Bruxelles, à la même période, son bâtiment Helmut Kohl accueille un centre d’accueil temporaire pour 100 femmes sans abri, géré par une association caritative, permettant aux bénéficiaires d’accéder, 24h sur 24, à une douche, 3 repas chauds et un lit. Au Luxembourg, les cabines de traduction sont utilisées pour favoriser les échanges entre des personnes malades de la Covid-19 et leur famille, sans risque de contamination.

Pour prendre la mesure de l’initiative inédite de David Sassoli, imaginons que d’autres vénérables institutions aient fait ou fassent encore de même: le Palais Bourbon, le Palais du Luxembourg, le Palais Montecitorio, le Palais Madame ; le Berlaymont (bâtiment principal de la Commission européenne à Bruxelles), le Justus Lipsus (bâtiment du Conseil de l’Union européenne du nom de l’humaniste belge du 16ème siècle), ce qui justifierait son appellation; Europe (bâtiment principal du Conseil européen, anciennement Résidence palace); le Palais de l’Elysée; le Palais du Quirinal, etc. Quelle révolution de…palais !

David Sassoli était, outre ‘il bello de la sinistra’ (dans tous les sens de l’expression) comme le surnommait jadis la presse italienne, un homme affable, proche des gens qu’il considérait, quels qu’ils soient, dans le plein sens étymologique du mot. Considération, de cum siderare: «regarder quelqu’un comme s’il était aussi important qu’une étoile» (‘Éthique de la considération’ de Corine Pelluchon). David Sassoli était habité par une profonde éthique. Éthique de la conviction? Éthique de la responsabilité? Pour Max Weber son concepteur, ces deux éthiques se complètent et «constituent ensemble l’homme authentique, c’est-à-dire un homme qui peut prétendre à la vocation politique».

Homme authentiquement politique, voilà ce qu’était David Sassoli, pleinement voué à la Cité, la Cité des Hommes. Il avait rappelé, le 9 mai 2020, en célébrant la Journée de l’Europe marquée par le 70e anniversaire de la Déclaration Schuman (qui a jeté les bases de la construction européenne), le fil d’Ariane de cette dernière: solidarité, égalité, égalité des chances pour tous ; en soulignant qu’«il y a 70 ans, nous avons dit ‘plus jamais’ à la guerre ; 70 ans plus tard, nous devons dire ‘plus jamais la faim et plus jamais la mort en Méditerranée’».  Exhortant les dirigeants politiques à retrouver le courage des fondateurs de l’Europe, il déclarait alors : «la politique est utile quand elle est courageuse et, quand elle est courageuse, elle peut changer le monde». Etchanger le monde plutôt qu’il ne nous change[3].

Oui, assurément, Monsieur Sassoli, il vous a fallu bien du courage pour faire de la politique pour changer le monde, sans qu’elle ne vous change et rester un ‘uomo perbene’.

Djémila Boulasha

[1] Européen convaincu: jargon en vogue dans le milieu ‘européen’ pour désigner un engagement fort en faveur de l’Europe.

[2] Alexei Navalny: lauréat le 20 octobre dernier du prix Sakharov 2021 pour la liberté de l’esprit décerné chaque année par le Parlement européen aux défenseurs des Droits de l’Homme et des libertés fondamentale.

[3] Pour faire écho à l’expression d’un des protagonistes du chef-d’œuvre d’Ettore Scola  ‘Nous nous sommes tant aimés’.


Kazakistan: cosa c’è dietro la rivolta e l’intervento russo - le 13/01/2022 15:07 par Maddalena_Tulanti

Kazakistan: cosa c’è dietro

la rivolta e l’intervento russo

13 Gennaio 2022,  di Maddalena Tulanti

Il prestigioso centro studi Carnegie di Mosca, considerato da tutti indipendente, aiuta a riflettere sulla rivolta popolare contro i rincari del gas in Kazakistan e sul successivo intervento repressivo delle truppe russe che ha portato al tramonto del regime di Nazarbaev e all’ascesa di Tokaev .

Ora che sembra stia tornando tutto alla (quasi) normalità in Kazakistan, con le truppe russe che si preparano a rientrare a Mosca per lasciare ai governanti locali il compito di risolvere i problemi di stabilità e di sicurezza, si può provare a ragionare su che cosa sia accaduto nei giorni scorsi in questo immenso paese dell’Asia centrale (19 milioni di abitanti, poco meno di 3 milioni di km quadrati di superficie, il nono per estensione nel mondo), stretto fra le pulsioni imperiali turche e cinesi, ma profondamente legato alla storia, alla politica e alla cultura della Santa Madre Russia.

Che cosa sia accaduto e perché lo descrive bene l’analisi del prestigioso Carnegie di Mosca, un centro studi considerato oggettivo e indipendente e per questo stimato anche dai circoli putiniani. L’analisi degli studiosi Aleksander Gabuev e Temur Umarov, entrambi specialisti dell’area, parte ricordando che fino ai primi di gennaio, quando è scoppiata la rivolta, il Kazakistan era considerato a Mosca un vero modello politico ed economico, dove l’autocrazia avanzata aveva trovato il punto di equilibrio sognato da tutti i governanti che non considerano inevitabile indossare il vestito della democrazia per partecipare al gran ballo delle Nazioni perbene.

In pochi giorni, dal 2 gennaio, questo credito è stato cancellato da un terremoto che pure era prevedibile e che però anche i più attenti osservatori avevano sottovalutato: l’aumento vertiginoso del costo del gas liquido, il gpl. I prezzi sono raddoppiati nel giro di poche ore, una decisione accompagnata dalla spiegazione che era il mercato a comandare e non più il governo. Se si pensa che il 90% dei trasporti kazaki utilizza il gpl per funzionare e che esso è presente nel 70% delle abitazioni, si comprende quanto sia stata determinante questa miccia per far esplodere l’incendio. Perché ovviamente l’inflazione del carburante ha avuto come effetto collaterale quello di fari aumentare anche i prezzi dei generi alimentari e quindi del resto dei prodotti. E la pandemia ha dato il colpo di grazia ai ceti più poveri impedendo, con i lockdown, la migrazione interna fra centri piccoli e grandi città che aveva fino al 2020 tenuto sotto controllo il tasso di disoccupazione. Tutto ciò in un contesto di generale calo del prezzo del petrolio che rendeva impossibile al governo intervenire con sussidi e sostegni.

Questo, insomma, il contesto economico in cui si sono verificate le sommosse, spiegano i due analisti. Sommosse che, fra l’altro, erano già avvenute negli ultimi tre anni, tra il 2018 e il 2021, e in un numero ragguardevole: almeno 1.300, esplose soprattutto nella ex capitale Alma Aty, quasi 2 milioni di abitanti, la città considerata più vivace e sensibile alle sirene dei liberali.

La politica a questo punto ha seguito l’economia. Quello che è accaduto in Kazakistan negli ultimi giorni è stato straordinario per due motivi. Primo, perché la rivolta ha affondato uno dei più longevi potentati ex sovietici, quello del presidente Nursultan Nazarbaev, da 30 anni al potere. Secondo, perché tutto è accaduto grazie all’intervento delle truppe di Mosca, chiamate dal successore in carica, Kasym-Jomart Tokaev. Nel chiedere aiuto ai fratelli maggiori, Tokaev si è appellato al trattato di mutua assistenza militare denominato “Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva”, più noto con la sigla anglofona Csto, firmato allo scioglimento dell’Urss, nel 1992, e del quale oggi fanno parte sei membri: Russia, Bielorussia, Armenia, Kazakistan, Tagikistan e Kirghizistan.

Buffo è che il presidente di turno di questo organismo sia oggi il capo del governo armeno, Nikol Pashynian, al quale Mosca rifiutò un intervento simile due anni fa, quando l’Armenia si confrontava con l’Azerbaijan per il controllo del Nagorno Karabakh: altro contesto, altre priorità. Altrettanto curioso è che fino allo scorso anno abbia fatto parte del Csto l’Afghanistan e che un membro in attesa di entrare nell’organismo sia l’Iran. Il “Grande gioco” in Asia centrale ha ancora il profumo dei grandi conflitti fra gli imperi del XIX secolo: alcuni protagonisti sono usciti di scena, come la Gran Bretagna; altri, come la Russia, hanno solo cambiato veste, ma gli interessi in gioco sono sempre gli stessi.

Tornando ai nostri giorni, perché Putin ha detto sì per la prima volta all’utilizzo del trattato? Perché ha accettato l’invito di Tokaev e ha inviato circa 2.000 soldati per aiutare un Paese amico a schiacciare i rivoltosi e riportare la stabilità? A sentire lui lo ha fatto perché – come ha spiegato all’agenzia di stampa Sputnik – la Russia “non permetterà mai rivoluzioni colorate alle sue porte”, alludendo all’arancione dell’Ucraina. Il Presidente russo ha aggiunto poi che in Kazakistan è stato portato un vero attacco allo Stato e che quelle iniziate come proteste pacifiche contro l’aumento dei prezzi del gas si sono rapidamente trasformate “in violenti disordini e atti di terrorismo” che “non sono né il primo né l’ultimo tentativo di intromettersi nella regione dall’estero”.

Ma la verità è che lo ha fatto perché ha un sacco di gatte da pelare in Europa (Bielorussia, Ucraina, la stessa Russia) e non si può permettere di avere molestatori anche in Asia. Abbiamo accennato alle pulsioni imperiali di Turchia e Cina in questa area: sia Erdogan per motivi politico-culturali (i kazaki parlano una lingua turca) sia Xi per ragioni geopolitiche (la regione ribelle Xinjiang, quella degli uiguri, confina con il Kazakistan) sarebbero più che felici di esercitare la propria influenza sul Paese. Per questo, con un intervento rapido e (per il momento) indolore, Mosca ha riaffermato la propria autorità.

Quanto alle conseguenze interne per il regime kazako, sono altrettanto travolgenti. Tokaev ha rotto il dualismo che lo accomunava a Nazarbaev dal 2019, quando il vecchio leader, oggi 81enne, lo scelse per iniziare l’operazione della successione. In questi ultimi giorni Tokaev ha fatto piazza pulita del cerchio magico dell’ex presidente, licenziando nell’ordine il capo del governo, il vicecapo della sicurezza nonché nipote del vecchio leader, il numero uno dei servizi segreti interni ed esteri e un bel po’ di funzionari importanti, uno per tutti l’ex presidente della Banca centrale del Paese. E, per ultimo, allontanando lo stesso Nazarbaev dalla poltrona più importante, quella di Capo del Consiglio di sicurezza, incarico che l’ex presidente aveva voluto tenere per sé.

Insomma – come sostengono gli analisti del Carnegie – se Tokaev non ha organizzato la rivolta, di sicuro ha saputo cogliere l’occasione per beneficiarne, facendo fuori l’intero nucleo forte dell’ex regime con il quale aveva dovuto scendere a patti al momento della nomina. E così la lunga vita del sistema di Nazarbaev è finita: “Elbasy” il Magnifico, come si era fatto chiamare, esce di scena sul serio.

Tutti alla fine sono felici e contenti, Mosca più di tutti. Putin si è fatto un amico più forte, giovane e moderno in Kazakistan, ha dimostrato che solo la Russia può garantire la stabilità e la sicurezza nell’Asia centrale e, soprattutto, ha ridato vita al Trattato militare Csto, che ora non esiste più solo sulla carta. È un pericolo? La Russia interverrà ancora? Difficile dirlo. Chi conosce Putin sa che non lesina minacce (vedi il dispiegamento di forze nel Donbass per mettere pressione all’Ucraina e ai suoi amici occidentali), ma anche che difficilmente farà un passo dal quale non potrebbe più tornare indietro.

Maddalena Tulanti

Napoletana, ha fondato nel 2000 e diretto fino al 2015 il Corriere del Mezzogiorno Puglia, dorso locale del Corriere della Sera. Laureata in Russo con il massimo dei voti presso l’Istituto Universitario Orientale di Napoli, esperta di politica internazionale, ha vissuto in Francia e in Russia. Inviata di guerra per l’Unità: nel 1994 è stata la prima giornalista italiana a trovarsi in Cecenia durante l’invasione dei russi e l’unica ad aver intervistato il presidente ribelle Dudaev nel bunker del palazzo presidenziale assediato dai carri armati di Mosca. Al rientro dalla Russia nel 1998 è nominata inviata speciale per seguire gli eventi più eclatanti in patria (l’alluvione di Sarno) e all’estero (la guerra del Kosovo). In seguito viene nominata caporedattore centrale del giornale. Lo resterà fino alla chiusura del quotidiano avvenuta il 2 luglio del 2000. Nell’ottobre dello stesso anno è a Bari per aprire il dorso del Corriere della Sera.


disparition de M. David Sassoli - le 11/01/2022 11:47 par Alberto_Toscano

“La Section Italie de l’Union internationale de la presse francophone exprime sa profonde tristesse suite à la disparition, ce 11 janvier 2022, du président du Parlement européen M. David Sassoli.
Journaliste italien, longtemps à la Rai, David Sassoli était député européen depuis 2009 et président du Parlement européen depuis 2019. Toujours engagé pour la défense de la liberté de la presse dan le monde entier, il a été exemplaire pour son activité en faveur de l’affirmation des valeurs de liberté et démocratie qui sont à la base de l’Union européenne “