Actualitè
L’Appunto di Alberto Toscano – febbraio 2022
In attesa del Festival di Sanremo, il popolo della Felice Penisola si è concentrato per una settimana sulle trasmissioni dall’anfiteatro di Montecitorio. Anche lì si votava, con la differenza che i titoli delle principali canzoni in lizza erano veramente pochi. In particolare « Bianca, Bianca, Bianca » (pare che a un certo punto la Berlinguer si sia montata la testa) e « Casellati, Casellati, Casellati » (ma, in questo coro, i giornalisti musicali hanno notato qualche stonatura). Alla fine tutti gli italiani hanno applaudito e fischiettato il popolarissimo motivetto « Mattarella, Mattarella, Mattarella », che ha trionfato al Festival di Roma.
Bentornato, Presidente ! Sei stato via una settimana e già si sentiva la tua mancanza. Te n’eri appena andato con i tuoi scatoloni e già stava succedendo un pasticcio. Adesso sbrigati a dare a tutti il segnale della fine della ricreazione. Altrimenti – come ai tempi di Romolo e Remo, dei Guelfi e dei Ghibellini, dei Montecchi e dei Capuleti, di Bartali e Coppi – il popolo della Felice Penisola ricomincerà a scannarsi tra fazioni e sottofazioni. Il tuo merito principale, caro Presidente, è quello di esistere come simbolo di persone che adorano dividersi. Per noi italiani questa è una cosa fondamentale. Tu parli poco, ma non lo fai mai a caso. Anche per questo, noi popolo di chiacchieroni ti vogliamo bene. Volevi andartene e invece ti hanno costretto a tornare. Hai fatto un trasloco e subito dopo devi farne un altro in senso opposto. Qualcuno dice che ti dimetterai tra uno o due anni, ma penso si sbagli. Sono convinto che – se continuerai a godere di buona salute, come tutti ti auguriamo – porterai a termine il tuo secondo mandato e starai per altri sette anni nel palazzo che fu abitato dai papi e dai re. Te ne andrai nel 2029, quando avrai 88 anni e gli italiani continueranno a litigare tra loro. Ma prima o poi il popolo della Felice Penisola dovrà imparare a cavarsela senza il tuo aiuto.
Sergio Mattarella è tornato al Quirinale e di questo tutti o quasi si rallegrano. È tornato al Quirinale, ma sulla sua rielezione pesa un elemento preoccupante : quella scelta opportuna, corale e certamente utile all’Italia è stata compiuta solo perché non si sapeva cos’altro fare. È stata compiuta perché la politica stava sprofondando nelle sabbie mobili della propria rissosa impotenza.
Foto AgenziaDire
Sto scrivendo queste righe con la tv accesa e Sergio Mattarella, il presidente vecchio-nuovo, che – fatto il giuramento – sta parlando alle Camere riunite (qui YouTube del discorso di Mattarella il 3 febbraio a Montecitorio). È un vero discorso programmatico per un vero mandato che – ne ero convito poco fa e me ne convinco ancor di più col passare dei minuti – ha evidentemente l’intenzione di portare a termine.
Altra sensazione molto chiara : Mattarella vuole pesare nella politica italiana proprio come ha fatto nel suo altro settennato e come fece in precedenza Giorgio Napolitano.Nei pochi (davvero pochi) commenti dei media francesi a queste presidenziali sono rimbalzate considerazioni riassunte dalla frase « In Italia il capo dello Stato ha funzioni protocollari ». Come se non contasse nulla. Certo che ha anche funzioni protocollari, ma quell’affermazione è inesatta e fuorviante.
Benché il presidente della Repubblica italiana non sia eletto a suffragio universale diretto, il suo peso politico è fondamentale nel garantire – anche nella vita quotidiana – il rispetto della Costituzione. Non sono parole « protocollari ». Per capirlo basta ripensare alla collera con cui alcuni critici di Napolitano e di Mattarella si sono scagliati anni fa contro il Quirinale. Il governo Monti scaturì dall’iniziativa di Napolitano. Quello Draghi è figlio di Mattarella. Il peso reale dei presidenti della Repubblica italiana si vede proprio nei momenti critici, che negli ultimi decenni certo non sono mancati. Se tutto va bene, il Quirinale è un palazzo su un colle di Roma. Ma se tira aria di bufera il suo ruolo può essere importantissimo. Mattarella è riuscito a mostrare fermezza quando riteneva fosse necessario, cercando però il dialogo e l’intesa. Persino chi era arrivato a chiedere il suo impeachment si è spellato le mani nell’applaudire il suo discorso del 3 febbraio pomeriggio a Montecitorio.
Intervistata da Radio Rai, una corrispondente tedesca a Roma si dice allibita perché la politica italiana ha perso una settimana nelle elezioni presidenziali mentre sul terreno ci sono tanti problemi da risolvere. A parte il fatto che la politica tedesca ha impiegato mesi a negoziare per la maggioranza di governo, il punto non sta in quella settimana « persa », ma nei rischi che – a causa delle incertezze, delle fibrillazioni e delle furbizie dei partiti – l’Italia ha corso in quei giorni cruciali, tra lunedì 24 gennaio (inizio delle votazioni) e sabato 29 (elezione di Mattarella con 759 voti su 1009 aventi diritto al voto). Tutti i partiti hanno qualche responsabilità, ma non tutti hanno lo stesso grado di responsabilità in un gioco che ha fatto correre al Paese un reale pericolo di destabilizzazione. Ciascuno di noi ha le proprie opinioni sul comportamento degli uni e degli altri. Questa diversità di giudizio è sacrosanta, ma è chiaro che l’Italia si è trovata sull’orlo di una crisi molto seria perché le sue rappresentanze politiche hanno mancato di lungimiranza. Siccome tutto è bene quel che finisce bene, adesso gli italiani sono contenti e gli europei pure. L’eventuale destabilizzazione della politica italiana avrebbe avuto pesanti conseguenze nell’UE nel periodo delicatissimo in cui sono in gioco sia l’applicazione del piano di rilancio comunitario (con finanziamenti subordinati al rispetto degli impegni assunti da ciascuno Stato membro) sia la definizione delle nuove norme comunitarie rispetto a deficit di bilancio e debito pubblico.
Proprio trent’anni fa, nel febbbraio 1992, i rappresentanti dei governi europei firmarono il protocollo ufficiale del Trattato di Maastricht in questa città olandese in cui due mesi prima i leaders avevano raggiunto l’accordo per nascita della moneta unica. Furono stabiliti cinque criteri, di cui i più noti e importanti sono il tetto del 3 per cento del PIL per il deficit della finanza pubblica e il 60 per cento del PIL per il debito. Oggi è ben difficile rispettare quei parametri. È anche difficile attenersi alla nuova versione di quella scelta, scaturita nel 1997 col « Patto di stabilità e di crescita », sospeso con l’arrivo della tempesta Covid. Ma la tempesta passerà e bisogna capire cosa ci sarà dopo. Il ritorno puro e semplice al «Patto», che ha garantito poca stabilità e soprattutto poca crescita comune, è improbabile e forse impossibile. Qui si nascondono i veri punti deboli nella storia dell’euro, che è nel suo insieme un grande successo. Dietro le richieste di alcuni di legare gli altri a rigide politiche di bilancio, c’è un problema di fiducia reciproca ancora da costruire. Piaccia o non piaccia, dopo la tempesta Covid alcune regole chiare andranno adottate. Piaccia o non piaccia, quelle regole non potranno essere identiche a quelle di prima. Nel contesto di questa discussione, che sta ormai entrando nel vivo durante l’attuale semestre di presidenza francese dell’UE, è importantissimo per l’Italia che le sue posizioni siano esposte in Europa da un personaggio come Mario Draghi. Un leader che non manca certo di credibilità internazionale.
L’Italia ha davanti a sé un anno molto particolare, in cui deve approfittare del dopo-pandemia per rilanciare una crescita economica che da decenni era già molto debole prima che arrivasse il Covid. Le cifre dell’economia italiana nel 2021, rese note in questi giorni, sono buone ma questo risultato servirà a poco se la tendenza favorevole non verrà confermata nei prossimi anni. La stabilità politica è fondamentale non solo perché occorre un governo solido per prendere decisioni talvolta impopolari quanto indispensabili. La stabilità politica è fondamentale anche perché oggi la fiducia internazionale di ogni Paese è la « materia prima » con cui si fabbrica la sua solidità sui mercati finanziari (cosa doppiamente importante per un Paese indebitato come l’Italia, con un debito pubblico pari oggi a 2.700 miliardi di euro). Per un anno ancora, l’Italia sarà praticamente retta congiuntamente dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella e dal presidente del consiglio Mario Draghi. La loro sarà più di una collaborazione istituzionale. Sarà una vera «causa comune» politica, nel senso del leccarsi le nuove ferite della pandemia e anche alcune vecchie ferite ancora sanguinanti sul terreno della società, dell’eguaglianza e della giustizia. Non sappiamo se il duo Mario-Sergio avrà successo, ma abbiamo tutti interesse a sperare di sì.
Mentre Mattarella parlava a Montecitorio, mi sono scritto alcune sue frasi. Compresa questa : « Dignità è un Paese libero dalle mafie, dal ricatto della criminalità e anche dalla complicità di chi fa finta di non vedere ». I problemi, qualsiasi essi siano, si possono risolvere solo se si smette di « far finta di non vedere ». Il tandem Draghi-Mattarella andrà probabilmente avanti fino alle elezioni politiche, previste nel marzo 2023. Hanno molto da pedalare, ma dovrebbero riuscire a farlo in buona armonia. Poi la parola spetterà agli italiani, che saranno i soli responsabili della propria scelta. Se le cose non andranno bene potranno prendersela in primo luogo con se stessi. Questo è il bello della libertà. Che, come dice Conte (Paolo, non Giuseppe), rischia sempre di subire il fascino delle «perline colorate» più di quello dei solidi e spesso poco seducenti programmi di riforma (qui YouTube della canzone di Conte « Gelato al limon »).
Alberto Toscano